IC FALCONE E BORSELLINO

Scrittori in classe

                                 SCRITTORI IN CLASSE

 

CAMPIONE  Federica Pellegrini           TEMA Grinta              CLASSE III A

INTERVISTA:

  • Quando hai iniziato a nuotare e perché?
  • Quando hai capito di competere ad altissimi livelli?
  • Hai mai pensato di mollare tutto per goderti di più l’età adolescenziale?
  • Chi ti ha dato la grinta per superare le difficoltà incontrate?
  • I tuoi genitori ti hanno sostenuto nella scelta di intraprendere questo sport?
  • Quali emozioni provi quando pratichi questo sport?
  • Come ti senti prima di affrontare una gara?
  • Cosa hai provato quando sei arrivata quarta alle ultime olimpiadi?
  • Hai altri sogni nel cassetto?
  • Il complimento più bello che hai ricevuto da sportiva e da donna?

IL CORAGGIO DI SFIDARE IL MONDO

Eh già è proprio vero che le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza e i  caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici, frase di Kahlil Gibran che descrive perfettamente  Alessandro, un ragazzo di quattordici anni a cui la vita è stata come quella di Leopardi, un po’ avversa. Il nome Alessandro  gli è stato dato dopo tre giorni, perché la mamma voleva capire che faccia avesse e dopo meditate osservazione e sguardi aveva scelto esclamando: “La sua faccia è propria di un Alessandro”. Nome che ha dato fortuna a imperatori, papi, poeti e uomini della scienza, ma ad Alessandro, proprio no. Alessandro era nato, infatti con una malformazione genetica che iniziò ad avere un decorso verso i tre anni, età che vede i bambini correre e muoversi, funzioni che hanno portato poi Alessandro a non poter più utilizzare le sue gambe. Nonostante la sua disabilità, Alessandro, si comportava come tutti i ragazzi della sua età. Era dotato di grande spirito tanto che si compiaceva autodefinirsi, “uomo a rotella”. Ale come veniva chiamato in modo confidenziale da amici e parenti, era circondato da persone che dimostravano quotidianamente l’affetto per lui. Ale, figlio di Paolo e Giulia, due genitori amati per la loro forza d’animo all’infinito, era un ragazzo timido e riservato con chi non entrava nelle sue “grazie”. Aveva, infatti, una qualità straordinaria quella di cogliere nelle persone con cui si trovava a relazionare, le caratteristiche che meritavano la sua attenzione. Quando la persona davanti gli ispirava fiducia, Ale si trasformava da essere burbero e antipatico, in persona amabile, socievole e disponibile. Ale era anche un grande sportivo, non si limitava a tifare per la squadra del cuore, la Juve, ma partecipava anche a gare di nuoto, sport che Ale aveva iniziato a praticare per volere dei genitori, ma che aveva finito con amare tanto da voler far parte dei gruppi di nuoto paralimpico. In realtà il nuoto era diventato per lui una sorta di “rifugio” in cui rinchiudersi ogni volta che ne sentiva la necessità. Era una sorta di sfogo per una realtà che gli stava stretta. Soffriva tanto, perché a scuola non sentiva quel calore umano che aveva a casa, lì la sua diversità diventava spunto per derisioni o altro. I suoi compagni di scuola non solo non lo consideravano, il che forse era meglio, ma si divertivano a prenderlo in giro, a schernirlo e a maltrattarlo. I bulli della classe, gli prendevano la merenda e/o i soldi, gli lanciavano il materiale scolastico a terra, sapendo che avrebbe avuto difficoltà a raccoglierlo. Beh! la vita a scuola lo rendeva furibondo e sempre più restio a frequentare quel luogo che avrebbe, invece, dovuto proteggerlo. Ogni volta che la giornata si concludeva male, Ale si affidava alla sua valvola di sfogo, al nuoto, sport che voleva essere ora una fonte anche di sopravvivenza. Praticare quello sport gli aveva offerto la possibilità di capire chi avrebbe voluto essere, Ale aveva come tutti i ragazzi della sua età un sogno nel cassetto, diventare prima che grande sportivo un grande uomo così come gli Alessandro che lo avevano preceduto nella storia. Aveva chiesto ai suoi genitori un ulteriore sacrificio quello di iscriverlo alla piscina paralimpica di Roma. Sarebbe stato veramente un grande impegno, perché spostarsi da Subiaco per gli allenamenti, tre o quattro volte a settimana, richiedeva tempo e denaro. L’entusiasmo di Ale indusse, però i genitori a fare una scelta, quella che avrebbe dato una svolta alla vita del proprio figlio. Accadde, infatti, che in un giorno come tanti, si fermò a fare qualche vasca il grande Federico Morlacchi, la sua presenza voleva essere da incitamento per i giovani sportivi. Il campione sfidando i ragazzi presenti, finì con l’accorgersi di Alessandro che spronato da tale presenza, non deludendo le aspettative del mister, diede il meglio di sé. Dopo qualche giorno, infatti, il campione si ripresentò in piscina e dopo aver condiviso le sue idee con l’allenatore, chiamò in disparte anche Alessandro che incredulo, rimase ad ascoltare le parole del suo idolo. Federico gli raccontò che era rimasto sorpreso dalla sua velocità, aveva notato quella grinta e quella passione che nemmeno i grandi campioni posseggono, ma che erano diventate in lui il motore delle sue gambe. Federico gli propose di partecipare alle paraolimpiadi che avrebbero avuto luogo a Rio tra circa sei mesi. Alessandro senza pensarci due volte (sapeva che simili fortune non si sarebbero ripresentate), accettò con entusiasmo. La scelta avrebbe comportato un ulteriore sacrificio della famiglia, ma la serenità di Ale non aveva prezzo.

Dopo duri allenamenti, Alessandro era pronto per la gara. Era fiducioso e alimentato da una grinta che da sola poteva bastare a sfidare il mondo. Affrontò le gare con serenità, ma anche con molta paura di deludere chi aveva confidato in lui. Grazie all’impegno, al coraggio e alla fortuna che assiste gli audaci, Alessandro vinse l’ambita medaglia. Tornando a casa riaffiorò il pensiero della scuola, si chiedeva come sarebbe stato accolto. La mattina seguente a scuola non era più come prima, si parlava solo di lui e del suo successo di campione paralimpico. Anche la situazione con i suoi compagni sembrava prendere un altro aspetto, perché lui finalmente trovò il coraggio di raccontare ai suoi insegnanti le azioni irrispettose dei suoi compagni che meritavano un’adeguata punizione.

Ale non finì mai di ringraziare il suo campione, sia per la vittoria, sia per averlo comunque aiutato a ritrovare quella fiducia che aveva perso a causa degli altri. Il nuoto gli aveva dato la possibilità di riscattarsi, di far crescere in lui la dignità che nessuno altro deve calpestare. Quella sedia a rotelle era diventata un ostacolo. Da quando era stato costretto ad utilizzarla nessuno rivolgeva le attenzioni che meritava, era diventato invisibile. Già la vita aveva lasciato il suo segno e gli altri avevano fatto la loro parte. Grazie a Federico era riuscito a denunciare uno dei tanti problemi della nostra società, il bullismo. Aveva acquistato una forza interiore che gli aveva permesso di far capire a chi come lui ha degli svantaggi fisici a non perdersi d’animo. Aveva dimostrato che nessuno può arrogarsi il diritto di ledere un’altra persona perché ognuno ha una dignità. Alessandro era riuscito a vivere ciò che aveva desiderato, essere campione di nuoto e per lui non contava che lo fosse di un’altra categoria, quella dei paralimpici.

 È proprio vero che i sogni sono desideri e non bisogna mai stancarsi di sperare che si avverino.

CAMPIONE  Ivan Zaytsev                   TEMA Umiltà                      CLASSE II 

INTERVISTA:

  • Quanti sacrifici hai fatto per arrivare dove sei ora?
  • Per ogni partita quali emozioni provi?
  • Avere un padre ex pallavolista e allenatore ha condizionato la tua vita?
  • Quante ore ti alleni? Ne hai sempre voglia?
  • Da piccolo qual era il tuo sogno nel cassetto?
  • Cosa occorre per diventare un campione?
  • Ti senti più italiano o russo?
  • Ci sono differenze tra l’Ivan giocatore e l’ Ivan fuori dal campo?
  • Se non avessi giocato a pallavolo cosa avresti fatto nella vita?
  • Nei momenti di difficoltà dove hai trovato la forza?

L’ARTE DI ESSERE UMILI

 Nella vita per raggiungere i propri obiettivi è necessario sottoporsi a dure prove e fare del sacrificio un valore della propria vita. È troppo facile vincere senza impegno, la fortuna ci serve ma proprio, perché è una dea bendata, non possiamo solo affidarci ad essa, può essere una buona alleata se ci si impegna e ci si prepara, questo differenzia un perdente da un vincente. Sacrificare quindi ore preziose della nostra vita per raggiungere dei traguardi importanti diventa necessario. Questo è quello che fa ogni sportivo che ambisce ad un successo personale.    

Nella società odierna ogni persona ha il diritto di praticare lo sport che più gli piace, anche se a volte non è così, la storia di Martina è un esempio efficace di come in realtà non tutti possono fare ciò che amano.

Come tutti i ragazzi della sua età anche Martina aveva un sogno nel cassetto diventare una campionessa. Martina è una ragazza di diciotto anni, alta, magra, dall’aspetto incantevole, con uno sguardo accattivante tanto da trasmettere adrenalina e gioia anche ai più depressi. A differenziarla da tutte le coetanee era però, oltre la fila di corteggiatori, il suo orgoglio. Il suo sport preferito era il nuoto, ma per volere dei genitori, si trovava ad essere iscritta ad un corso di pallavolo. Dopo tanti anni trascorsi a giocare per accontentare i suoi, capì che il suo sogno in realtà non era più diventare una nuotatrice, ma una campionessa mondiale di pallavolo. Iniziava ad appassionarsi sempre di più ed il suo allenatore, rilevando evidenti miglioramenti, le propose di allenarsi non più due, ma tre volte a settimana. Dopo continue vittorie, avute anche per la sua incredibile schiacciata, iniziò a credere che fosse superiore alle altre, tanto che con un atteggiamento altezzoso e di superdonna, si trasformò in una persona arrogante e irrispettosa.

Qualche giorno dopo, Martina ebbe la proposta dell’allenatore di recarsi alla Federazione Italiana di Pallavolo (FIPAV) per effettuare i provini. Un’opportunità di tanta rilevanza non le sarebbe di nuovo capitata e così, il lunedì seguente, accompagnata dal suo allenatore, partì per la Capitale. Per la prima volta ebbe paura di essere una perdente, di non essere scelta. Dopo svariate ore di attesa, arrivò il suo turno e, sotto l’occhio attento di Davide Mazzanti, selezionatore della squadra femminile italiana, mostrò ciò che era in grado di fare. Il verdetto sarebbe arrivato il giorno dopo tramite un e-mail. Dopo una notte tormentata, durante la quale ansie e paure si erano impossessate di lei, arrivò la risposta tanto desiderata. Sarebbe entrata a far parte della Nazionale italiana di pallavolo. Consapevole del cambiamento che la sua vita avrebbe avuto, si dedicò completamente agli allenamenti, trascurando gli studi e le poche amicizie che le erano rimaste. Ogni giorno era costretta a percorrere più di cento chilometri, il viaggio e gli allenamenti portarono Martina a superare l’esame di maturità non in modo brillante. Tanta fu la delusione, così mentre gli altri maturandi entusiasti festeggiavano la fine del liceo, lei scoprì di essere sola e ora che aveva bisogno di un conforto, non aveva nessuno.

Come da programma, Martina si trasferì nella capitale; si abituò presto ai ritmi serrati degli allenamenti previsti dalla Federazione, ma lei era consapevole che per raggiungere dei traguardi doveva essere disposta a qualsiasi sacrificio. Durante un allenamento, però, cadde a terra e si fratturò la tibia. Il dottore della squadra, Roberto Vannicelli, comunicò alla ragazza che ci sarebbero voluti più di quaranta giorni per il recupero completo. Nelle partite successive, Martina soffriva perché avrebbe voluto esserci anche lei sul campo, ma sull’odiata panchina dovette purtroppo rimanerci anche dopo, perché l’allenatore preferì non farla giocare.

Quando ogni speranza sembrava essersi persa, accadde qualcosa che indusse Martina a scegliere di essere diversa. Durante uno degli allenamenti si trovò a passare il grande campione italiano, Ivan Zaytsev che si mise a sedere proprio dove si era sistemata timidamente la nostra Martina. Il suo idolo iniziò a scambiare chiacchiere con lei con una semplicità e umiltà che la sconvolsero. Lei raccontò un po’ la sua storia e di come era arrivata a far parte della nazionale. Mentre diceva questo nei suoi occhi c’era un velo di tristezza, il campione capì che la sua ammiratrice non era proprio contenta e Martina spiegò che le vittorie l’avevano cambiata e allontanata dalle sue amiche. Ivan cercò di confortarla e disse: “Allenarsi come se si fosse secondi, giocare da numeri uno”. Grazie a quelle parole, Martina capì che la sua vita doveva cambiare e doveva farne parte l’umiltà. Appena le fu possibile la ragazza tornò nel suo paese natio, Cassino, voleva chiedere umilmente scusa alle sue compagne di squadra, ai suoi amici, ai suoi cari per essere stata odiosa e superba. Tutti capirono l’enorme sacrificio che l’aveva portata a fare quel gesto, ma apprezzarono quanto Martina avesse fatto e si congratularono con lei per la posizione raggiunta. Tutti erano orgogliosi dei suoi successi. Aveva capito che la sua vita avrebbe avuto come guida una grande virtù, l’umiltà, difficile da conquistare ma sorgente di vita.

Scuola secondaria Appignano del Tronto

 

INDICE Giornalino “IL GRILLO PARLANTE” – Numero 31